Quasi uno spot al contrario: chiudete gli occhi e assaggiate
il vostro yogurt preferito. Cremoso. Vellutato. Frutta in pezzi. Gusto:
fragola. E invece no. Piuttosto, un sapiente mix di molecole sintetizzate in
laboratorio: propylene glycol, acqua purificata, glacial acetic acid,
ethylacetate, 2 methyl butyric acid, 2-methyl 2-pentenoic acid, hexyl acetate,
ethylbutyrate, ethylcaproate, ethyl 2-methyl butyrate, cis 3 hexenol, maltol,
furaneol, hedione, methyl cinnamate, beta ionone, dimethyl sulphide, gamma
decalactone, gamma dodecalactone.
Più che un sapore, un’illusione costruita in provetta. Un
aroma: ecco la parola chiave. Non solo per lo yogurt, dove la frutta vera,
quando va bene, raggiunge il 9 per cento. Troppo poca per insaporire il prodotto.
Gli aromi stanno nella stragrande maggioranza di cibi e
bevande che consumiamo abitualmente, ogni giorno. Basta leggere qualche
etichetta per rendersene conto. Alla rinfusa: biscotti (farina, lievito,
zucchero, margarina, sale, aromi), speck (suino, sale, aromi, spezie), bibite
(acqua, zucchero, aromi eccetera). Un mercato mondiale da quasi 14 miliardi di
euro, controllato da dieci multinazionali che detengono il 65 per cento della
torta.
Gli aromi vengono utilizzati in qualsiasi settore -dolci e
prodotti da forno, bevande alcoliche e non, gelati, snack salati, prodotti
farmaceutici- e sono praticamente infiniti: aromi fruttati, verdure, carni
(usati in alcuni prosciutti cotti, per esempio, per ottenere un sapore più
deciso). Esistono addirittura l’aroma “panettone” (a volte utilizzato con
l’aroma “burro”) e l’aroma “fumo” per i cibi affumicati. La multinazionale
Master Taste, tra i suoi prodotti vanta anche una “Italian collection”: pesto,
porcini, gorgonzola, mozzarella, salame, pancetta, mortadella…
“Al giorno d’oggi vogliamo prodotti buoni, di massa, che
durino a lungo, disponibili in qualsiasi momento dell’anno. E che costino
poco”, commenta Laura Tirelli di L’Italiana Aromi, tra le principali aziende
nazionali nel settore. Insomma, sostengono gli addetti ai lavori, è il tipo di
produzione -industriale- che non può fare a meno degli aromi: i cibi vengono
sottoposti a trattamenti “violenti” (come la pastorizzazione, per esempio), che
ne modificano o ne uccidono il sapore, e hanno una vita mediamente lunga,
durante la quale devono mantenere un sapore inalterato e costante, per quanto
possibile. Infine, devono avere un prezzo competitivo, obiettivo che l’uso di
aromi (specie se non naturali, ma di sintesi) aiuta a raggiungere. Ma non
bisogna dimenticare la competizione tra le aziende alimentari, impegnate in una
gara continua alla ricerca di nuovi prodotti (e di nuovi sapori) nel tentativo
di sbaragliare la concorrenza: gomme da masticare “ice”, yogurt con frutta e
verdura o patatine al gusto “grigliata”.
Nello stabilimento dell’Italiana Aromi ogni anno si
producono 1.500 tonnellate di aromi, liquidi o in polvere. 18 mila metri
quadrati dedicati a progettare, sviluppare e stoccare sapori e odori
commissionati dall’industria alimentare. Qui nascono quelli che la legge
italiana definisce “aromi naturali” (estratti, essenze oppure olii ricavati da
fiori, frutta, erbe) e “aromi natural-identici” (molecole prodotte in
laboratorio ma uguali a quelle presenti in natura). Quasi per nulla utilizzati
invece -in Italia- gli “aromi artificiali”, perché la normativa in proposito è
piuttosto restrittiva. Al primo piano,
nei laboratori con sofisticate strumentazioni elettroniche, con file di
boccette di vetro marrone per proteggere il contenuto dalla luce, con provette
e addetti silenziosi in camice bianco, nascono le “ricette” messe a punto
dall’aromatiere, o flavorist, e tenute gelosamente segrete alla maggior parte
dei dipendenti. I tecnici del settore sviluppo e applicazione realizzano in
loco dolci, caramelle, gelati e bevande su cui testano i diversi aromi,
assaggiano i prodotti e correggono le note sbagliate. Dopo il controllo
qualità, gli aromi vengono immagazzinati al pianterreno, in contenitori
cilindrici di acciaio, e riempiono l’aria di un profumo dolciastro. “I
natural-identici -spiega Laura Tirelli- sono più versatili dei naturali, ed è
possibile ottenere aromi con un maggior numero di note e toni differenti”. Un
generico aroma “pesca”, per dire, può essere declinato in pesca matura, gialla,
pesca noce… Per questo viene cercata la giusta combinazione di molecole, che
possono essere esteri, alcoli, aldeidi, acidi, chetoni, in soluzione di acqua o
alcol etilico. Per i profani, sostanze dai nomi astrusi, ciascuna con
caratteristiche peculiari che, sommate a quelle di altre molecole, danno
l’aroma desiderato. Il 2-methyl thiofuroate, per esempio, ha note di cioccolato
bianco e prodotti caseari ed è indicato per aromi di fragola, latte fresco o
formaggi (in particolare francesi); oppure il 4-methyl-5-vinyl thiazole, per la
realizzazione di aromi di arachide, cioccolato, tacchino, pollo, bacon.
L’industria degli aromi è molto attenta a come viene
presentato il settore: teme che le persone, se a conoscenza della composizione
degli aromi, inizino a non fidarsi più di quello che mangiano.
L’americana Master Taste, con sede anche in Italia, ha
preferito non incontrarci neppure, mentre il direttore tecnico di uno dei due
più grandi produttori di aromi e fragranze al mondo (una multinazionale con 61
impianti in 31 Paesi) ci ha ricevuti con molta cortesia, spiegandoci le diverse
fasi produttive e il lavoro del flavorist e quanto "l'aroma, a volte, è
talmente particolare da costituire la "firma del prodotto". Così
l'aroma panna di un cono gelato, o l'aroma nocciola di una crema spalmabile,
diventano riconoscibili quanto un marchio. Il consumatore, inconsapevole, è
l'obbiettivo finale di questa guerra del gusto.
Sulla scrivania, il direttore tecnico (nonché flavorist)
aveva diverse boccette di vetro scuro. In una di queste ha intinto la touche,
una strisciolina di carta assorbente, passandomela: profumo dolcissimo e
intenso, tipo caramella al lampone. “È l’aroma di un frutto rosso -ha detto- e
verrà utilizzato per uno yogurt”. Chi mangerà quello yogurt, sull’etichetta
troverà la generica dicitura “aromi” (prevista dalla legge italiana per i
natural-identici o per le miscele tra natural-identici, naturali, artificiali),
senza sapere che la ricetta dell’aroma lampone non contiene necessariamente
sostanze presenti davvero nel frutto, quanto piuttosto molecole che mescolate
tra loro suggeriscono ai nostri recettori olfattivi e del gusto un sapore che
ricorda quello del vero lampone.
O quello che, sempre più, assoceremo a esso. Così come lo
sciroppo per dolci “al gusto di cioccolato” non sa davvero di cacao, la
caramella al limone non sa di limone, e così via. “L’aroma però dev’essere
visto come un aiuto, non come qualcosa che fa male”. Gli aromi sono controllati
e autorizzati dalla autorità sanitarie, è vero: “Secondo la normativa vigente
-il professor Tateo- gli aromi si classificano come ‘ingredienti’ e non come
additivi”.
Un altro pianeta rispetto a coloranti, conservanti e così
via. Differente il parere di Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, che nel suo
ultimo libro Buono, pulito e giusto all’argomento dedica diverse pagine: “Oggi
gli studi sugli effetti degli aromi e degli altri prodotti chimici hanno
cominciato a rischiarare quello che pareva un cielo buio e impenetrabile;
ingerire questi prodotti, in modo continuativo per tutta la vita, ci sottopone
a un’altra forma di inquinamento i cui effetti rimangono ancora non del tutto
chiariti”.
Ma, secondo Petrini, c’è un’altra cosa su cui vale la pena
riflettere: “Questi composti rischiano di assuefare il senso del gusto
-avverte-; alzano la soglia di percezione dei nostri sensi facendoci sembrare i
prodotti naturali poveri dal punto di vista organolettico e omologano i sapori
privandoci della gioia di assaggiare la diversità naturale, varia, ricca e
molto gratificante per il palato”.
Davide Musso - 23 Agosto 2006
Articolo di giornale ripreso da Altreconomia
Articolo di giornale ripreso da Altreconomia
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